7 vizi per 7 capitali è un’antologia scomoda, perché è il riflesso di ciò che è capace di perpetrare l’essere umano quando si inasprisce il lato più recondito del suo esistere. Da qui nasce il vizio.
Quando pensiamo alla parola vizio, che se vogliamo è un po’ il figlio illegittimo dell’ozio, ci ritroviamo a vagare nelle abiette viscere della terra strisciando come serpenti nei cunicoli più peccaminosi della mente umana. Da qui all’incontro con Dante, l’inferno e i sette vizi capitali è un passo, anzi una strisciata. La teologia morale ci ha insegnato a chiamarli col nome di avarizia, lussuria, ira, accidia, superbia, ingordigia e invidia e un po’ come succede quando scioriniamo i nomi dei sette nani ne manca sempre qualcuno all’appello.
In realtà tutti questi atteggiamenti presi in piccole dosi non sono da considerarsi con accezione negativa, se vogliamo il vizio deriva dall’eccessiva quantità con cui dosiamo queste pulsioni.
Etimologicamente la parola vizio significa difetto, tendenza e abitudine al male e nonostante ogni epoca abbia le sue concezioni di peccato, questi sette vizi sarebbero da ritenersi trasversali e validi in qualsiasi momento storico viviamo o abbiamo vissuto, almeno in occidente da duemila anni a questa parte. D’altronde per colpa della superbia e l’ingordigia di Adamo ed Eva abbiamo perso per sempre il paradiso terrestre, per invidia Caino ha ucciso Abele con ira fino ad arrivare all’ignavia e all’avarizia di cuore con la quale ai giorni nostri guardiamo le immagini dei profughi morti sulle nostre coste. E forse presi dalla noia siamo sempre di più alla ricerca di emozioni che ci facciano sentire “vivi” stimolando la parte più lussuriosa che in tutti noi alberga.
Questa antologia nasce per dare libero sfogo ai nostri istinti di essere umani, collocati però in un preciso contesto geografico. E così questi luoghi, queste capitali europee, prendono subito un altro respiro, come se queste città avvolgessero col loro manto spettrale le angosce sotterranee degli uomini che le abitano. E allora facciamo la conoscenza, grazie all’eleganza di stile di Marco Cioni e alla spietatezza di Kylen Logan, di una Parigi invidiosa di una Londra superba. La Oslo di Stefano Rossi ci accoglie con tutta la sua ingordigia in una corsa “pulp” fino all’ultimo colpo di ascia. Una Stoccolma da premio Nobel conferma la capacità caricaturale di Andrea Falchi nel raccontarci le vicende di Alvaro, fisico ligure-scozzese, avaro per antonomasia. Il quadro, davvero inquietante, di Ilya Yefimovich Repin, dal titolo Ivan il terribile uccide suo figlio, ispira Paolo Piani per il suo racconto arrabbiato ambientato a Mosca. La Praga di Alessandro Ciampi ha le sembianze di un demone che si rivelerà, in tutto il suo angosciante delirio, essere il guardiano dell’accidia. Per finire Sergio Costanzo ci regala una Budapest “lussata”, sgraffiata, resa obliqua da un insieme di dettagli che presi ad uno ad uno svelano una mente lussuriosamente deviata.
L’ordine seguito per il susseguirsi dei racconti è semplicemente l’ordine alfabetico dei sette vizi in questione. Forse è un caso, forse no, al momento non ho una spiegazione certa, ma non ci sono stati abbinamenti con capitali del sud Europa. Forse per noi italiani il vizio, il difetto, la deviazione è un qualcosa che appartiene più alle atmosfere fredde del nord e dell’est Europa. O forse è solo un caso, anche se chi mi conosce sa che io al caso non ci credo…
Andrea Falchi,
curatore della collana Profondo Giallo